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ZODIO: UN’ACCOGLIENZA (QUASI) “COMME À LA MAISON”

Tante volte abbiamo scritto e raccontato dell’importanza di effettuare un rigoroso lavoro di mappatura del viaggio del cliente nell’ottica della progettazione della Customer Experience (rileggi qui).

Ogni tappa del viaggio, infatti, è costellata di touchpoint, di punti di contatto che, in modo più o meno rilevante, influenzano l’esperienza del cliente. Il trucco è ricordarsi che nessun touchpoint ha impatto zero: ognuno di essi, infatti, avrà un riscontro positivo o un riscontro negativo sulla soddisfazione delle aspettative del cliente.

In questo senso, è necessario attenersi a due regole: identificare con metodo e immedesimazione i touchpoint strategici (quelli che spostano significativamente l’ago della bilancia, per intenderci) e tenere presente che “nessun touchpoint” è meglio di un “touchpoint progettato male”.

Per quanto riguarda la prima regola, è evidente che l’identificazione debba avvenire in un sistematico dialogo tra l’ecosistema aziendale (tutto) con il cliente in merito a quelle che sono le promesse del brand o dell’azienda: un touchpoint sarà strategico nel momento in cui molto significativamente esprime la vera essenza del brand.

zodio_face_3Per quanto riguarda la seconda, vorremmo farvi un esempio raccontandovi di un brand da poco arrivato in Italia ma che già riscuote un grande successo tra il suo pubblico. Si tratta di Zodio, parte del Gruppo Adeo, leader francese nel settore del bricolage e del fai-da-te, format femminile dedicato alla cucina, all’arte del ricevere a casa, al living creativo, al benessere e al crafting, capace di creare una relazione tutta nuova tra cliente, punto vendita e team, composto da “appassionati delle passioni”. La mission di Zodio è “Accoglierti comme à la maison”, accoglierti come a casa. Una mission che ha alla sua base una forte filosofia “cliente-centrica” di CRM, alla quale collabora tutto l’ecosistema aziendale e che fa dei clienti “ambasciatori” il suo punto di forza.

Zodio ha aperto il suo primo punto vendita italiano a maggio 2015 a Rozzano, nella periferia sud di Milano.

Da Zodio si trovano prodotti e oggetti per la casa che spaziano dalla cucina, all’arte in tavola, al benessere, al bagno, alla camera, al living e alla decorazione creativa. Ma da Zodio si può anche prendere un caffè, incontrare gli amici, pranzare e brindare a occasioni speciali con loro, festeggiare il compleanno dei bambini, frequentare i corsi proposti, dalla cucina al cucito a maglia. Come se non bastasse, Zodio ha, inoltre, creato l’appuntamento delle “vendite private”, dei momenti dedicati ai clienti più affezionati, con serate a tema, giochi e concorsi, sconti e promozioni.

Il personale di Zodio è fresco, allegro, sorridente e appassionato: parlando con loro si ha davvero la sensazione di scambiare due chiacchiere con qualcuno che condivide la propria passione o, invece, con qualcuno più esperto che, con competenza ma informalità, possa dare la dritta giusta in base alle proprie esigenze.

È molto facile andare da Zodio quando si vuole fare un regalo speciale, qualcosa anche di semplice ma che sicuramente colpisca: Zodio è anche un ispiratore di idee! Cercare un regalo da Zodio, poi, è un regalo anche per se stessi, tanto ci si sente davvero “comme à la maison”.

Ma proprio qui, ahimè, casca l’asino: uno dei touchpoint fondamentali quando ci si reca in un negozio a comprare un regalino è quello dell’impacchettamento. Da buona regola del fai-da-te, una volta arrivati in cassa, il gentile addetto ci segnala vicino all’uscita un angolo con a disposizione tutto il materiale per prepararci il nostro pacchettino. Mentre paghiamo, notiamo il corner che sembra allestito in modo impeccabile. Lo raggiungiamo in un batter d’occhio ma, purtroppo, la nostra carica di aspettativa dopo la magnifica esperienza all’interno del punto vendita ci torna indietro come un boomerang.

Ecco che cosa troviamo:

  • Un angolo con esposti bellissimi pacchettini addobbati e che ci fanno immaginare quale potrebbe essere il risultato del nostro: aspettative in salita!
  • Un muro sul quale sono allestiti tre rotoloni di carta regalo che è possibile tagliare grazie agli appositi dentini (come quelli del domopak, per intenderci): la difficoltà nel compiere questa azione all’apparenza molto semplice è, però, resa evidente dalle estremità dei rotoli che sono tutte strappate (e non tagliate seguendo la linea dei dentini). Dentini che tagliano male? Carta troppo pesante? Rotoli posti in modo scorretto?
  • Un paio di forbici legato con una catenina per impedirne il furto (giustamente), ma che impedisce di poterle utilizzare se non a distanza ravvicinata.
  • Una casetta di carta che indica la possibilità di inserire suggerimenti, ma senza carta e penna per scrivere (in compenso la casetta è utilizzata come deposito di pezzi di carta regalo in avanzo).
  • Non troviamo fiocchinastri decorativi (e i bellissimi pacchettini esposti..?).
  • Il banco dove effettuare l’operazione è molto stretto e rende il tutto più complicato, soprattutto se ci sono due persone che vogliono preparare il pacchetto.

Insomma, dopo una decina di minuti nel vano tentativo di tagliare la carta che ci serviva per il nostro pacchetto e di prepararlo “incastrandoci” con un’altra signora che cercava di compiere la stessa operazione, abbiamo dovuto desistere.

Un touchpoint che carica enormemente di aspettative il cliente, se non altro come conseguenza della bellissima esperienza vissuta fino a lì. Aspettative suffragate dal colpo d’occhio dei bellissimi pacchettini esemplificativi già preparati sul bancone. Aspettative che – come detto – tornano indietro proprio all’ultimo minuto come un boomerang restituendoci un’esperienza davvero difficoltosa e poco piacevole.

“Nessun touchpoint” è meglio di un “touchpoint progettato male”!

Ph.Credit: Zodio

VODAFONE: 70 MILIONI DI INTERAZIONI AL MESE E UNA CUSTOMER EXPERIENCE “FI-GITALE”

Progettare un viaggio del cliente end to end coerente in tutti i touchpoint indipendentemente dal canale di accesso all’azienda è stato uno dei cosiddetti “hot topics” discussi al passato Customer Experience Exchange for Telecoms tenutosi a Londra lo scorso Aprile (leggi qui).

Una sfida che è stata pienamente accolta da Vodafone che, consapevole dell’urgente necessità di una strategia multi e omnicanale per stare al passo con le esigenze dei propri utenti, ha lanciato nell’Ottobre del 2015 il programma We CARE, volto a consolidare e valorizzare il rapporto con il cliente in termini di connettività, trasparenza, riconoscimento della fedeltà, accessibilità ed efficacia del servizio.

cominelliIntervistata da Data Manager, Barbara Cominelli, Direttore Commercial Operation & Digital di Vodafone Italia che viene spesso chiamata a intervenire sul tema – non ultimo proprio il Customer Experience Exchange – spiega come, a partire da questo nuovo programma, Vodafone Italia stia attuando una ridefinizione dell’esperienza dei propri clienti e del loro customer journey. Strumento fondamentale per questo lavoro è la nuova app MyVodafone, attraverso la quale il cliente può accedere in qualunque momento e in qualunque posto a tutto il mondo Vodafone controllando spese e consumi, ricevendo offerte personalizzate, adeguando e modificando secondo le proprie esigenze il piano tariffario, integrandolo con servizi diversi, ma anche accedendo direttamente ai canali fisici attraverso una live chat: “Con la nostra App il cliente può avere tutta l’esperienza Vodafone in tasca, in un continuum di esperienza. (…) Inizia il suo journey sulla app in selfcare e nel momento in cui ha bisogno di assistenza apre una chat istantanea con un nostro consulente, senza bisogno di cambiare touchpoint”, spiega Cominelli.

myvodaIl cliente oggi vuole un’integrazione sempre più fluida di fisico e digitale, uno non esclude l’altro, per questo la Cominelli conia il termine “fi-gitale” per spiegare l’esperienza che Vodafone si sta impegnando a offrire al proprio cliente: 70 milioni di interazioni ogni mese attraverso i canali messi a disposizione (negozio, customer care, social media, website, e l’app MyVodafone), 40 milioni delle quali proprio attraverso l’app.

Alla ricerca di idee sempre nuove e fresche che possano coinvolgere l’esigente e digitalizzato cliente dell’Era del Cliente, Vodafone ha istituito “My Vodafone Hack”, una maratona giunta quest’anno alla sua seconda edizione che vede giovani sviluppatori, startupper, esperti del mondo IT, del digital design e del digital marketing sfidarsi nella presentazione di un progetto innovativo mirato a migliorare il controllo e la gestione del traffico dati attraverso l’app My Vodafone.

L’edizione svoltasi a metà Aprile presso il Vodafone Village di Milano è stato vinto dal gruppo Rednovation che ha presentato “Vee”, un amico virtuale che affianca e aiuta l’utente durante la navigazione in MyVodafone senza dimenticare di fargli gli auguri di compleanno o di informarlo sulle previsioni meteo. Un modo per non far mancare un tocco di “umanità fisica” alla facilità e all’immediatezza dell’interazione mobile.

ACCESS EXPERIENCE, QUESTA SCONOSCIUTA…

Tempo fa avevamo voluto soffermarci a chiarire la differenza tra Customer Experience e Shopping Experience (leggi qui). L’esigenza nasceva dal fatto che, spesso e volentieri, la prima viene “ridotta” alla seconda che, per quanto possa essere progettata in maniera impeccabile e per quanto possa essere davvero entusiasmante, risulta comunque solo una parte di un viaggio molto più lungo e articolato che il cliente intraprende nell’interazione e nella relazione con un’azienda o con un brand (vedi immagine).

Il Viaggio del Cliente - Forrester Research
Il Viaggio del Cliente – Forrester Research

Un viaggio che ha inizio ben prima dell’effettivo acquisto del prodotto o del servizio, quando il cliente “scopre” e poi “valuta” il brand, fino a prendere la decisione di acquistare un suo prodotto, alla fine della fase, appunto, dell’acquisto. Un viaggio che continua anche dopo l’acquisto, perché il cliente dovrà effettivamente “entrare in possesso” di quanto acquistato per poi utilizzarlo. Dovrà anche tornare a relazionarsi con il brand se durante una delle tappe precedenti qualcosa è andato storto.

È proprio di questa fase di “accesso” del viaggio del cliente che vogliamo parlare oggi. Quella fase estremamente complessa e misteriosa nella quale il cliente, finalmente, entra in possesso del suo acquisto.

Abbiamo recentemente accennato anche alla “Opening Experience” (leggi qui), sottolineando come il packaging di un prodotto, interponendosi in qualche modo tra il cliente e il suo acquisto, ne influenzi l’esperienza creando delle aspettative. Si tratta di uno dei tanti touchpoint che il cliente affronta nella fase di acquisto: il prodotto potrebbe essere un profumo “chiuso” dentro una bella scatolina che veicola la “prima impressione” sulle promesse del brand. Nell’acquisto di un profumo, infatti, spesso non è solo l’esperienza olfattiva che vince, ma anche quella visiva: quante volte vi è capitato, quanto meno, di soffermarvi su un profumo la cui boccetta o la cui scatola vi hanno fatto sognare ancor prima di annusarlo?

Ma il packaging influenza anche la fase successiva del viaggio del cliente, quella, appunto, dell’accesso. Pensate di vedervi arrivare a casa il vostro nuovo prodotto Apple acquistato online. Addirittura, in questo caso, è la prima volta che toccate il “vostro” Iphone. Certo, ne avete visti molti negli AppleStore, o nelle mani dei vostri amici. Ma quello che sta arrivando è il vostro. Anche qui, il packaging è una grossa parte dell’esperienza. Apple lo sa tanto bene da avere un’intera parte dell’azienda dedicata proprio alla sua progettazione.

Ci sono certi prodotti e servizi, soprattutto quelli che hanno a che fare specificatamente con l’identità della persona, come profumi, vestiti e accessori, oggetti di arredamento, un taglio dal parrucchiere, che, dopo la fase di acquisto, rendono la fase di acceso una sorta di riconferma dell’acquisto stesso.

A chi non è mai capitato, dopo l’acquisto di un bel paio di scarpe, di continuare sulla via dello shopping e imbattersi in altre vetrine di negozi di calzature e ammirare altri tipi di scarpe? Oppure di tornare a casa e cercare su internet se ci fosse lo stesso modello a un prezzo più basso? Anche dopo che il paio di scarpe è stato acquistato, è soggetto a una riverifica e a una riconferma della scelta effettuata.

Oppure un bel taglio nuovo: sotto le luci luminose e gli specchi perfetti del parrucchiere, dopo che le sue esperte mani hanno accorciato e colorato qua e là, ci sembra di essere veramente perfetti. Ma quando poi torniamo a casa e ci guardiamo al “nostro” specchio, quello che tutte le mattine sembra non fare altro che ingigantire ogni nostra più piccola imperfezione, siamo ancora così convinti?

Così come per un bel vestito comprato quasi “d’impulso”, attratti dalla perfetta esperienza provata nel negozio. Quando si torna a casa e si riprova il capo, è quello il momento in cui davvero si entra in suo possesso. È quello il momento in cui davvero decidiamo, noi soli davanti allo specchio, lontani da occhi indiscreti, se quel vestito è quello giusto, se davvero ci sta bene, se davvero l’esperienza provata nel camerino è reale.

Questa fase di “passaggio” tra la tappa “acquisto” del viaggio del cliente e la tappa “uso” è la prova del nove che conferma definitivamente che l’acquisto è quello giusto e non deve essere restituito.

È una tappa, come si è detto, estremamente misteriosa, perché l’azienda e il brand molto difficilmente riescono a tracciare e a identificare l’esperienza che il cliente effettivamente prova.

La soluzione? Sicuramente cercare, per quanto possibile, di “rizzare le antenne” in tutti quei touchpoint che in qualche modo sono coinvolti nella tappa: il personale del negozio o del customer service, il packaging, le istruzioni di settaggio di device tecnologici o di montaggio di mobili o oggetti di arredamento, la logistica. Sono tutti piccoli tasselli che possono contribuire a ricavare qualche informazione su come sia davvero andato l’acquisto effettuato nel nostro retail, online o offline che sia.

PERCHÈ REALIZZARE LA MAPPA DEL VIAGGIO DEL CLIENTE

Mappare tutti i punti di contatto tra il cliente e la vostra azienda è un passo fondamentale per offrire una customer experience superiore.

Italian Customer Intelligence riferisce che chi l’ha fatto si è trovato davanti ad aree di miglioramento sorprendenti e, spesso, da queste mappe, sono scaturite idee e progetti innovativi davvero significativi per il cliente. La prima sorpresa, generalmente, è la grande quantità di “touch points” nei quali il cliente matura giudizi sul brand, spesso trascurati dall’azienda e talvolta addirittura sconosciuti.

Una buona “journey map” consente, fra l’altro:

  • Di far focalizzare tutto l’ecosistema aziendale sui bisogni/desideri del cliente, sulla sua facilità di interazione con l’azienda e sulla piacevolezza della sua esperienza, in una parola, sulla “domanda”.
  • Di rivedere il contenuto del proprio direct marketing, newsletter e campagne di comunicazione troppo spesso focalizzate sulla propria “offerta”.
  • Di allineare le “promesse” del brand all’esperienza che effettivamente i clienti vivono con la vostra azienda o, specularmente, di offrire una customer experience, in ogni touch point, che sia effettivamente in linea con quanto il brand esplicitamente o implicitamente promette.
  • Viaggio del cliente
    Fonte: K.Bodine, H.Manning – “Clienti al centro” – Forrester Research.

    Di portare l’esperienza concreta del cliente in ogni tappa del suo viaggio (quando scopre il brand, quando valuta, quando acquista, quando utilizza i vostri prodotti, quando chiede assistenza) a chi produce, a chi distribuisce, organizza, amministra, vende.

  • Di semplificare l’azienda eliminando processi, regole, e prassi che non influiscono sull’esperienza del cliente o, addirittura, la danneggiano.
  • Di avere una visione per ogni cliente che non sia organizzata solo in “cluster” obsoleti le cui “redemption” sono in picchiata.
  • Identificare opportunità di misurazione fondamentali.

Nel corso introduttivo alla customer experience che Italian Customer Intelligence propone, una parte significativa è dedicata proprio al “da farsi” per mappare il viaggio del proprio cliente.

Per maggiori informazioni, scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

LA CUSTOMER EXPERIENCE È UN VIAGGIO, NON UNA DESTINAZIONE

Annette Franz si occupa di customer experience da venti anni e attualmente, oltre alla gestione del suo blog (www.cx-journey.com), nato dal desiderio di condividere le esperienze e le riflessioni maturate in questi anni, è vicepresidente di Touchpoint Dashboard. Ciò che la appassiona di più, nel suo lavoro, è aiutare le aziende a capire l’importanza dell’esperienza e del coinvolgimento dei dipendenti per offrire una customer experience superiore. Secondo Annette le aziende dovrebbero assicurarsi che il cliente sia al centro di ogni discussione.

Questa una delle sue celebri frasi che campeggia in ogni pagina del suo blog:

You know the quote, Success is a journey, not a destination.

Well, the customer experience is a journey, too. It’s a never-ending journey. You must always strive to deliver that ultimate customer experience, not only at a single touchpoint but also – especially – along the entire journey. Have you taken the first step?

(Annette Franz)

Per Annette offrire un’ottima customer experience significa intraprendere un viaggio senza fine, perché il successo risiede nel viaggio, non nella destinazione. Ciò implica una conoscenza approfondita e una progettazione accurata della customer experience in ogni tappa del viaggio del cliente.

In apparente contraddizione con sé stessa, Annette fa poi riferimento ad una seconda citazione:

“Knowing where you’re going is the first step to get there.”

(Ken Blanchard)

La contraddizione è solo apparente perché la citazione di Ken Blanchard è la “conditio sine qua non” per intraprendere “il viaggio” di cui parla Annette. Come potremmo imbarcarci in un programma volto al miglioramento dell’offerta di customer experience senza avere bene in mente i valori del nostro brand, o senza conoscere il cliente e le tappe del suo viaggio?

Intraprendere un viaggio “di successo” non significa certo partire “allo sbaraglio”, ma stabilire una meta, il percorso e i mezzi per raggiungerla!

Per informazioni: info@italiancustomerintelligence.it

CUSTOMER EXPERIENCE E OUTSTANDING REDEMPTION. EMIRATES LO SA BENE!

Quando si era ancora nell’Era del Marketing, cioè dell’arte di “vestire” sempre meglio la propria offerta per convincere a comprare, gli esperti valutavano le azioni di marketing in termini di “redemption”. E tutt’ora, chi crede di essere ancora in questa “Era”, si imbatte in redemption e indici di conversione all’acquisto sempre più ridotte, dando, ovviamente, colpa alla crisi e al fatto che il cliente ha sempre più offerta a disposizione e i mercati si fanno saturi che più saturi non si può…

Nell’Era del Cliente (quella che stiamo vivendo ora, clicca qui), l’argomento “customer experience” ha invece redemption evidentemente outstanding (clicca qui). Il segreto? Partire davvero dal bisogno/desiderio del cliente (che quindi va veramente conosciuto), dalla facilità con la quale deve poter interagire con l’azienda (semplicità è la parola d’ordine) e della piacevolezza dell’esperienza che gli si promette.

Già…è proprio l’allineamento tra le promesse (esplicite ed implicite) che un brand evoca e l’esperienza che realmente il cliente vive nei numerosissimi touch point con il brand che innalza quel livello di “customer experience” collegata direttamente con la frequenza di acquisto, il suo valore medio, la fedeltà del cliente e l’attrazione di investimenti.

Anche la pubblicità e la comunicazione di aziende che sanno mettere al centro l’esperienza del cliente, più che la propria offerta, hanno redemption maggiori: sono, in poche parole, più viste, più cliccate, più ricordate, più dibattute..

Con lo slogan “Concediti un’esperienza degna di una lussuosa spa durante il volo”, Emirates raccoglie consensi e “scatena” i promoters, i cosiddetti clienti super amanti di un brand che promuovono un gran passaparola, cioè la pubblicità più credibile che esista!

Per vedere l’esperienza proposta da Emirates clicca qui.

CUSTOMER EXPERIENCE: BREVE GUIDA PER NON CONFONDERSI

Anche nelle migliori aziende a volte il concetto di “customer experience” viene equivocato. O ridotto. C’è chi lo confonde (o lo relega) con la shopping experience (come abbiamo già visto qui), c’è chi pensa che abbia a che fare con la nozione stretta di marketing, intesa come l’arte di vendere bene e con argomenti sempre più affascinanti il proprio prodotto… Ma la customer experience è molto di più.

Per capirlo meglio, seguiamo il suggerimento di Kerry Bodine in Outside In, il best seller pubblicato dalla Forrester Research che insegna l’importanza di mettere davvero il cliente al centro della nostra organizzazione. Partiamo quindi dal dire cosa NON è la customer experience.

Customer experience: che cosa non è

Abbiamo detto che non è la shopping experience. Sarebbe troppo riduttivo, per quanto l’esperienza del cliente nel nostro negozio possa essere superba. E non è nemmeno il customer service, che in genere viene contattato quando c’è qualche problema. Anche in questo caso, per quanto possa essere efficiente e risolutivo, rimane comunque riduttivo. Non si tratta nemmeno dell’usabilità… Aziende come la Apple o Google hanno fatto del concetto di “user friendly” la caratteristica fondamentale dei loro prodotti e servizi. Ma non è comunque sufficiente. Non è neanche “customer marketing”, inteso come attività di comunicazione e promozione per attirare clienti nuovi o per mantenere i vecchi.

Tutti questi fattori – e tanti altri – tutti insieme, costituiscono la customer experience, “l’unico fattore veramente importante per il successo di un business”, per dirla con le parole di Don Peppers e Martha Rogers nel loro “Return on Customer”.

customer experience: che cosa è

La customer experience è “il modo in cui i clienti percepiscono l’interazione con la vostra azienda”. L’insieme di tutte queste interazioni (chiamate anche “touch point”) costituiscono le tappe del “viaggio del cliente”, sintetizzabile nell’immagine sotto.

Viaggio del cliente
Fonte: K.Bodine, H.Manning – “Clienti al centro” – Forrester Research.

Sintetizzabile, perché in realtà i touch point nei quali il cliente si relaziona e quindi matura giudizi su un prodotto o un brand sono moltissimi, spesso trascurati dall’azienda e molte volte anche sconosciuti (leggi qui). Per questo è fondamentale riconoscerli tutti e analizzarli, in modo da poter preparare in ognuno di essi una customer experience che davvero soddisfi il cliente che ci passa.

Italian Customer Intelligence ti aiuta a tracciare il viaggio dei tuoi clienti nella relazione con la tua azienda, per scoprire quale sia la loro esperienza attuale e per potergli così offrire una customer experience davvero superiore. Scrivi a info@italiancustomerintelligence.it

CUSTOMER EXPERIENCE: VIETATO NASCONDERSI DIETRO AL CLIENTE!

Circa il 70 % dei consumatori smette di comprare prodotti e servizi da un’azienda dopo aver sperimentato una “bassa” customer experience e il 64% incomincia a fare acquisti da un competitor dell’azienda che lo ha reso insoddisfatto.

Nell’era dello “strapotere” del cliente è indubbio che una maggiore attenzione a conoscerlo meglio e a valutare quale effettiva esperienza viva con la nostra azienda si stia pian piano imponendo.

Feedback Online Survey Answers Opinions

In particolare, sondaggi, interviste, richieste di suggerimenti si moltiplicano tanto che spesso il viaggio del cliente con il nostro brand viene interrotto bruscamente – e talvolta invasivamente – con queste continue richieste.

La maggior parte di queste indagini avviene subito prima o subito dopo l’acquisto, mentre pochissime cercano di sondare le altre tappe del viaggio del cliente, quando, a esempio, “scopre” l’insegna o quando effettivamente utilizza i prodotti acquistati. Ancora troppe volte si confonde la customer experience con la shopping experience, dimenticando che la valutazione dell’acquisto che il cliente fa dipende dalla globalità delle sue esperienze con la nostra azienda.

Ma anche dopo che abbiamo subissato il cliente con domande sui suoi bisogni, desideri, gusti ed esperienze, il lavoro per offrire una customer experience superiore è appena all’inizio perché occorre paragonare le richieste dei clienti con ciò che i valori del nostro brand promettono.

promoter e detractor

Seguire “pedissequamente” il cliente, prescindendo dalle caratteristiche del nostro brand, è assai pericoloso e rischia di farci concentrare sui clienti “passives” o “detractors” trascurando i “promoters”, ovvero i “fanatici” del nostro brand, quelli con i quali – e per i quali – davvero progettare una customer experience superiore.

Vietato quindi “nascondersi” dietro la rilevazione delle richieste dei clienti senza passarle al vaglio della modalità originale e unica attraverso la quale il nostro brand può rispondere. Pena: aggiungere la nostra azienda complessità e costi, perdere i promoters e continuare a non convincere i “passives” e “detractors”!

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