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esperienza del cliente

CHE SVOLTA DOPO QUEL 2008 DA INCUBO!

Alcuni grandi brand l’hanno capito: la Customer Experience è la strada giusta per uscire dalla crisi e per riposizionare con successo il proprio brand. Non è un caso che diverse ricerche, negli ultimi anni, hanno rilevato che percentuali considerevoli di aziende di diversi settori riconoscono proprio la Customer Experience come fattore predominante di differenziazione, più di prodotto e prezzo.

 La recente storia di Starbucks ne è la conferma.  Soltanto nel 2008, il colosso americano delle caffetterie annunciava al mondo, in seguito a un drastico calo delle vendite, la chiusura di ben 600 locali su tutto il territorio degli Stati Uniti. Il brand, icona dell’incontro e dello svago, cominciava a essere percepito dal proprio pubblico come datato e noioso. Cattura

Dal 2008 a oggi, però, le cose sono cambiate! La multinazionale di Seattle, che si prepara a sbarcare anche in Italia, rivela uno stato di salute più che ottimale.

Ecco, in ordine, le strategie che l’azienda guidata da Howard Schultz ha realizzato per rilanciare il proprio business mettendo il cliente al centro delle proprie iniziative.

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Fonte: starbucks.com/blog

Innanzitutto, per ottimizzare l’esperienza del cliente, Starbucks ha investito sia sul prodotto che sul luogo in cui consumarlo, ovvero il locale. Ha migliorato la qualità del suo caffè e, allo stesso tempo, ha lavorato per rendere ogni locale in linea con il cosiddetto “third place”: un luogo che, fisicamente e mentalmente, si trova tra posto di lavoro e casa, un ambiente unico dove trascorrere il proprio tempo libero o lavorativo, soli o in compagnia (approfondisci qui)

In secondo luogo, ha valorizzato l’esperienza del cliente arricchendone l’offerta durante la fascia serale, inserendo quindi nel menù una scelta di birre, vini e piccoli assaggi.

E, infine, ha realizzato un investimento nel campo dell’innovazione. Un’estensione dell’app Starbucks, a oggi attiva solo nelle città di Seattle e New York, con la quale i consumatori possono ordinare il prodotto e richiederne la consegna a domicilio.

Di seguito un interessante video che documenta rapidamente le mosse attraverso le quali Starbucks ha riaffermato il proprio brand mettendo l’esperienza del cliente davvero al centro delle sue priorità.

MA CHE COS’È, DAVVERO, UN’ESPERIENZA?

“Fare esperienza”, “avere esperienza”, “la mia esperienza dice che ..”

Utilizziamo la parola esperienza in molti modi, in diversi contesti e, spesso, con diversi significati.

Mario Sala
Mario Sala, Partner di Praxis Management e Brand Owner di Italian Customer Intelligence

Ma che cosa è, davvero, un’esperienza e, poi, che cosa significa, se è riferita al ruolo di cliente?

Ci aiuta in questo l’etimologia della parola, che viene dal latino “experientia”, termine derivante a sua volta da “experiens”, participio presente del verbo “experiri”, cioè provare, sperimentare.

Certamente, quindi, l’esperienza è un “provare”, o, meglio, uno sperimentare, proprio nel senso più genuino di fare un esperimento!

Qual è il fine di questo provare, sperimentare, fare un esperimento?

Il fine, per uno scienziato come per un bambino, è il “conoscere”!

Ma per conoscere non basta provare, occorre un’altra azione, quella “decisiva”. Così decisiva che è, insieme al provare, anzi simultaneamente a questo, nella natura stessa dell’esperienza: giudicare!

L’ESPERIENZA È, QUINDI, UN PROVARE SEGUÌTO, SIMULTANEAMENTE O QUASI, DA UN GIUDIZIO. COL FINE DI CONOSCERE! (SOPRATTUTTO SE STESSI)

IL CLIENTE GIUDICA, QUASI SIMULTANEAMENTE AL PROVARE, LA CORRISPONDENZA TRA CIÒ CHE HA SPERIMENTATO (O CHE GLI VIENE PROMESSO DI SPERIMENTARE) E I SUOI BISOGNI E DESIDERI!

È un’operazione spesso velocissima e delicata perché il cliente, come tutte le persone, raggiunge una chiarezza su cosa davvero ha bisogno e desidera proprio…sperimentando!

È per questo – io credo – che Kerry Bodine, nella sua nuova riformulazione del viaggio del cliente, sottolinea che il cliente vive la fase della ricerca come “divergente”: desidera fare entrare nella sua traettoria tutte le opzioni che ha a disposizione e che lo aiutino a chiarire il suo bisogno.

Cosicché l’offerta o l’occasione di un’esperienza è spesso preziosa proprio perché, aldilà del giudizio finale, serve per far emergere sempre più alla propria consapevolezza che cosa davvero desideriamo e di che cosa davvero abbiamo bisogno.

Negli innumerevoli touchpoint che costituiscono l’interazione tra il brand e un cliente, quest’ultimo prova e giudica ciò che ha sperimentato in termini di corrispondenza con quello di cui ha bisogno o desidera chiarendosi sempre più, progressivamente o in un lampo, che cosa davvero desidera e di che cosa davvero ha bisogno.

L’entusiasmo che il cliente vive, quando scopre, valuta, sceglie e utilizza un prodotto o un servizio, è l’entusiasmo di chi finalmente coglie che cosa davvero vuole ed è entusiasta di quel prodotto o servizio proprio per questa scoperta e questa corrispondenza. E l’entusiasmo nasce proprio per questa conoscenza di sé che “l’esperienza” genera.

In ogni touchpoint il brand può quindi invitare il cliente a un’esperienza che aiuta a realizzare questa scoperta entusiasmante. Ecco perché ogni touchpoint va curato nei minimi dettagli: perchè ognuno di essi parla del brand tutto intero, cosi come il frammento fa conoscere la natura del tutto!

Non a caso, Stan Phelps – in modo geniale – nella sua teoria del purple goldfish, sottolinea l’importanza del glue (giving little unexpected extras): si tratta, infatti, di un touchpoint special, creato appositamente, nel quale, con facilità e immediatezza, il cliente vive un’esperienza che gli fa comprendere davvero la natura intera e la stoffa delle promesse del brand.

Come il cliente giudica questa “corrispondenza” dipende da moltissimi fattori soggettivi, poco o per nulla in mano al brand. Ciascuno di noi giudica in base alla sua situazione personale e in base alla sua “visione del mondo”, all’educazione che ha ricevuto e alla sensibilità che ha maturato.

(Certo dal brand dipende l’atmosfera nella quale il cliente vive questa delicata fase del giudizio. In questo ha davvero tanta importanza il grado di “felicità” che le persone hanno di lavorare per il loro brand. Per questo, io credo, Annette Franz insiste sulla relazione tra dipendenti felici e customer experience).

Ecco perché è importantissimo che ogni brand sappia comunicare le sue promesse, i suoi valori, la sua sensibilità: sarà questa visione del mondo comunicata dal brand che attirerà clienti “simili a sé”.

Rimane un ultimo problema: in ogni touchpoint il brand deve saper proporre un’esperienza in linea con la propria visione del mondo!

(Il mondo si vede bene dall’alto, non a caso la parola desiderio viene anche essa dal latino, de-sidera , dalle stelle!)

Questo è il cuore del lavoro di chi si occupa di Customer Experience.

Mario Sala

 

 

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