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SCHULTZ AI DIPENDENTI: “DOBBIAMO REINVENTARE STARBUCKS”

STARBUCKS: HOWARD SCHULTZ DI NUOVO IN CAMPO

Da anni seguo con vivo interesse le vicende di Starbucks, vero paragone e confronto per chiunque si occupi di Customer Experience nei business consumer proposti da catene. È l’attenzione che giustamente si deve dare a chi è stato antesignano e apripista per centinaia di catene che, sulla scia delle intuizioni di Howard Schultz, hanno trasformato il concetto stesso di breakfast, lunch e dinner in molte parti del pianeta. Proprio il paragone, l’emulazione e la competizione con Starbucks hanno dato l’ispirazione per il mio esordio come consulente – qualche anno fa –  di alcune catene di food grazie alla fortunata pubblicazione di “Aspettando Starbucks” (clicca qui) che ho scritto insieme a Gabriele Mancosu a cui ha fatto seguito “La Trimestrale del cliente” (clicca qui) redatta insieme a Valentina Romagnoni.

Per non parlare degli anni in cui Starbucks è stato costantemente primo in classifica nella misurazione del Net Promoter Score, rilevato in decine di migliaia di store annualmente e ormai diventato non solo l’indice che misura il passaparola entusiasta che i clienti sono disponibili a fare per un’insegna, ma un indicatore che misura lo stato di salute generale che i clienti attribuiscono a un brand.

Sono poi venuti, anche prima della pandemia, tempi difficili, o per lo meno più difficili, anche per Starbucks: si sono diradati perfino gli idilliaci racconti che dicevano di un Howard Schultz che – ritiratosi da ogni incarico operativo – si era ritagliato il ruolo di saggio tutor della sua creatura, intento soprattutto a incoraggiare e consigliare quasi “dall’esterno”. Non c’è gioia più grande, per un autentico fondatore come Schultz, di vedere la propria creatura andare avanti senza di lui e… meglio di quando c’era lui. Gioia assaporata per pochi anni, visto che Howard si è visto costretto a scendere di nuovo in campo.

4 principi per guidare la reinvenzione

Ad aprile di quest’anno, infatti, con una lettera ai dipendenti, Schultz ha annunciato di aver preso nuovamente in mano le redini dell’azienda perché le cose cosi… non andavano più bene: “Oggi ci troviamo in una posizione in cui dobbiamo modernizzare e trasformare l’esperienza Starbucks nei nostri negozi e ricreare un ambiente che sia rilevante, accogliente e sicuro, e in cui ci eleviamo gli uni gli altri con dignità, rispetto e gentilezza”. La lettera si chiude a chiare lettere: “Dobbiamo reinventare Starbucks per il futuro“.

Invece che gestire la situazione, intervenire sull’ottimizzazione dei costi e ridefinire il proprio perimetro, il fondatore parla con coraggio di “reinventare Starbuks”. Come? Schulz anche in questo caso è molto chiaro e indica la via ai dipendenti, prima che ad altri.

Continua infatti nella lettera “a tutti” indicando i 4 principi che dovranno guidare la “reinvenzione”:

  • Sicurezza, accoglienza e gentilezza per gli store
  • Avanzamento e opportunità per i dipendenti
  • Benessere della comunità aziendale
  • Potere condiviso, responsabilità condivisa, successo condiviso.

Abbiamo costruito questa azienda sul potere delle idee e della voce dei partner“, ha scritto ancora Schultz. “La reinvenzione deve liberare ancora più profondamente il potere dentro ognuno di noi, condividere più autenticamente la responsabilità nella costruzione di un futuro condiviso e dare dei vantaggi a tutti noi quando l’azienda avrà successo. Miriamo ad essere un tipo di azienda completamente nuovo nel nostro settore, stabilendo un nuovo standard“.

In una comunicazione a parte, ma che segue di poco questa comunicazione, Starbucks informa anche che investe 1 miliardo di dollari in nuovi aumenti salariali, formazione dei dipendenti e innovazione degli store.

What’s Next…

Nel frattempo, la scorsa settimana, Schultz ha annunciato che dal 1 aprile 2023 ci sarà un nuovo CEO: Laxman Narasimhan. Entrerà in azienda l’1 ottobre e, fino alla sua nomina, vivrà con Schultz che si occuperà direttamente e personalmente di introdurlo ai team di gestione, ai dipendenti e ai clienti: vivrà una full immersion nel brand e nella cultura aziendale oltre che, naturalmente, implementerà il piano di “reinvenzione”.

In precedenza, Narasimhan ha ricoperto vari ruoli di leadership in PepsiCo, tra cui quello di Global Chief Commercial Officer, dove era responsabile della strategia a lungo termine e delle capacità digitali dell’azienda. In precedenza, è stato senior partner di McKinsey.

Schultz ha continuato: “Poiché ho avuto l’opportunità di conoscerlo, è diventato chiaro che condivide la nostra passione di investire nell’umanità e nel nostro impegno nei confronti dei nostri partner, dei nostri clienti e della comunità. Le prospettive che porterà saranno una risorsa forte per questa nuova era di maggiore benessere che vogliamo costruire“.

In fondo è un incoraggiamento per tutti i player: Starbucks non lascia…raddoppia!

I CEO, IL BUDGET 2022, ROBERTO MANCINI E L’ENTUSIASMO: QUESTIONE DI PUNTI DI RIFERIMENTO!

Guarda la foto: la terza ride, la seconda è triste ma ….

Per lavoro ho l’avventura di star vicino a diversi Ceo o, per dirla all’italiana, amministratori delegati.

Fra di essi ci sono anche imprenditori che svolgono diversi lavori nella loro impresa essendo anche, al contempo, presidenti, amministratori delegati, direttori generali e direttori commerciali (spesso indipendentemente dal fatto che siano presenti in azienda – in questi ruoli – altre persone)

I più avveduti sono impegnati, in queste settimane, al budget 2022 che coinvolgerà i vertici delle loro imprese fino ai mesi di ottobre e novembre per l’approvazione definitiva.

È tempo quindi – mentre si lotta per questo 2021 forse in ripresa o forse no – di previsioni, di scenari, di scelte coraggiose o conservative o – per i più esigenti – di entrambe contemporaneamente!

Tot capita, tot sententiae: quante le teste, altrettanti i giudizi e gli approcci. E questa massima latina, forse di Terenzio o forse di Cicerone, è certamente vera anche per i CEO.

Ogni CEO ha un suo approccio originale, frutto delle sue esperienze e convinzioni spesso maturate dopo epiche vittorie e brucianti sconfitte, quindi messe più volte alla prova.

Tuttavia, nei confronti del budget rilevo “solo” 2 tendenze, quasi 2 correnti o addirittura due partiti ai quali potrei iscrivere tutte le mie “ altolocate” conoscenze!

Ed è una questione di punti di riferimento!

Guardate la foto di questi campioni premiati e quindi meritatamente sul podio…

Osservate la “stranezza” per la quale la seconda classificata è triste e la terza felice!

Perché? Questione di punti di riferimento! La terza classificata ha come punto di riferimento tutti gli atleti battuti e non saliti sul podio, la seconda ha come punto di riferimento la prima classificata che l’ha superata…

Cosi, fuor di metafora, si può fare un budget che ha come riferimento gli anni precedenti (realisticamente il 2019) o le potenzialità massime esprimibili dal meglio dell’impresa, dal suo genio.

Forse nel primo caso è più facile essere contenti, ma guardare a chi sta avanti e al massimo e al meglio possibile è proprio un altro film. Appunto il budget è una questione di punti di riferimento! È una questione di cultura d’impresa, cioè dell’aria che si respira, perché la cultura delle nostre imprese altro non è che l’aria che si respira nelle nostre imprese.

E per gli obiettivi dei nostri budget sappiamo molto bene come è decisiva l’aria che si respira nelle nostre imprese, se di entusiasmo o no. Si cresce infatti solo per l’entusiasmo dei nostri clienti che, come un’onda li raggiunge, proprio a partire dall’aria che si respira nei nostri head quarter. Senza entusiasmo si punta a fare anche poco meglio degli anni precedenti, avendo come punto di riferimento se stessi. Con l’entusiasmo nella testa e nelle vene si guarda fuori di sé, ai migliori

Non sfuggirà a nessuno come “il CEO” Roberto Mancini ha costruito l’entusiasmo, cosi decisivo per la medaglia d’oro,  facendo guardare ai suoi atleti (praticamente gli stessi della terribile debacle della gestione precedente) il traguardo massimo, e questo fin dal primo raduno il giorno del suo incarico (tra la perplessità dei più, forse, all’inizio, anche degli stessi atleti).

Certo si può perdere e aver vergogna di prendere l’argento, anzi il “ silver ” e sfilarsi  la medaglia … ma si può anche vincere … questione, appunto, di entusiasmo, cioè di punto di riferimento!

L’importanza delle soluzioni alternative: VORREI, MA NON POSSO… PERÒ…

Vi abbiamo da poco scritto dell’importanza e del potere di una cultura del “sì” all’interno dell’azienda e in tutto il suo ecosistema (leggi qui).

Siamo sicuri che molti di voi, leggendo, saranno stati combattuti tra un’attitudine – irrimediabile – da clienti, per la quale “Accidenti, sarebbe bello sentirsi dire sempre di sì” e un’altrettanta irrimediabile inclinazione da chi sta dall’altra parte a pensare che “Bè, dire sempre di sì, però, è davvero impossibile”.

Bene, è vero. O meglio, dire sempre sì, a volte, è davvero impossibile. Ma, come in ogni situazione, “c’è modo e modo”. E c’è sempre un “ma”. Quando la cultura dell’azienda è impregnata dall’attitudine a “La risposta è sì, ora, qual è la tua domanda?”, anche quando effettivamente non c’è modo di rispondere positivamente, si può trovare una soluzione che accontenti il Cliente. Qualcosa come “Ci dispiace enormemente, non è possibile, ma… possiamo fare in questo altro modo!”.

virgin hotel chicagoEcco quello che è successo a un cliente del Virgin Hotel di Chicago, affamato proprio in quelle poche ore che il ristorante dell’albergo chiude (a causa di una legge della città che impedisce ai ristoranti di rimanere aperti 24/24ore). Alla domanda se Miss Ricky’s (il nome del locale) fosse aperto, la risposta DEVE per forza essere no. Per legge, pure. MA… Ecco la risposta dell’addetto al cliente: “Mi dispiace, ma Miss Ricky’s non riaprirà prima delle 6. In ogni caso, ho una lista di spuntini che possono essere preparati in qualunque momento del giorno e della notte dalla nostra cucina. Posso farglieli portare direttamente in camera, o, se preferisce mangiare seduto, posso aspettarla nella lobby e prepararle un tavolino”.

Quando la risposta non può che essere no, una soluzione alternativa e delle sincere scuse possono sicuramente attutire il colpo e creare nel cliente la sensazione che la sua esperienza sia davvero al centro dell’attenzione dell’azienda.

CULTURA DEL “SÌ” E CUSTOMER EXPERIENCE

Come clienti, siamo spesso abituati a sentirci rispondere, a specifiche richieste, con un sonoro, deciso e inappellabile “no”: “Non ce ne occupiamo in questo reparto!”, “Qui non funziona così!”, “Purtroppo non possiamo aiutarla…”, “Non è di nostra competenza!”… e così via.

Bene, la verità è che, invece, rispondere sempre “sì” va a vantaggio di una Customer Experience superiore. Sicuramente si tratta di una questione di cultura del brand: deve essere nelle sue corde, nella sua stoffa.

Quando un brand ha in sé la cultura del sì, sarà oltretutto più facile, per quei dipendenti che – generalmente – trovano sempre una scusa per dire “no”, essere affascinati dai colleghi “sì”, tanto da volerli imitare.

Un breve esempio raccontato da un dipendente dell’hotel ristorante a cinque stelle The Inn at Little Washington (a Washington, Virginia): una coppia di giovani sposi arriva all’hotel per festeggiare l’anniversario per un weekend lungo. Lei si accorge di aver dimenticato a casa la valigia con l’abito che aveva scelto per la cena, a otto ore di auto di distanza. Senza essere interpellato, un altro dipendente dell’hotel si presenta all’entrata su un’auto, pronto a partire per la città degli ospiti, ritirare il bagaglio e riportarglielo in tempo per la cena. Nessuno gli aveva chiesto niente: semplicemente aveva fatto talmente sua la cultura del servizio della sua azienda che non aveva avuto la minima esitazione nel trovare una soluzione al problema degli sposini.

Inutile parlare della loro sorpresa e gioia all’udire di tanta inaspettata e inusitata disponibilità.

L’episodio raccontato viene più volte citato dal dipendente-testimone del fatto il quale, tanto colpito dal gesto, lo prese come esempio da seguire.  Il suo lavoro migliorò così tanto che fece velocemente una brillante carriera, ma questo è un dettaglio.

Una cultura del “sì” impegna ciascuno, nell’ecosistema aziendale, a mettere al centro del proprio lavoro il Cliente e la sua concreta esperienza quando si relazione con il brand.

Se rispondere “sì” non è possibile non dimenticate di proporre soluzioni alternative come vi spieghiamo qui

ZAPPOS E IL MARKETING TOOL CHE L’HA RESA GRANDE

In Italia forse non tutti conoscono Zappos (www.zappos.com), ma negli Stati Uniti è un vero gigante, tanto da aver attirato l’attenzione di Amazon che l’ha acquisita per 1 miliardo e 200 milioni di dollari, “concedendole” di mantenere la propria cultura aziendale e il controllo dell’intera customer experience.

Zappos: scarpe (e non solo)

Zappos è nata nel 1999 come retail online di scarpe con il nome ShoeSite. Solo qualche mese dopo, il cambio di nome (una storpiatura del termine spagnolo “zapatos”, scarpe) per non precludersi la possibilità di vendere altri tipi di prodotti. Obiettivo, questo, raggiunto nel 2007, con l’apertura del canale anche a borse, occhialeria, abbigliamento, orologeria e giocattoli per bambini.

L’80% del business di Zappos rimane sulle calzature, ma il 20% restante è in rapida crescita.

Qual è il segreto dietro il successo di Zappos?

La risposta arriva chiara e precisa dal Customer Loyalty Team di Zappos: “L’interazione con i nostri clienti è stato il marketing tool più efficace che abbiamo utilizzato da quando esiste Zappos. Soprattutto all’inizio, quando non c’erano grosse risorse da inserire nel marketing, abbiamo deciso di fornire ai nostri clienti il miglior servizio di assistenza possibile, che è risultato essere la strategia migliore per generare passaparola”. Ossia clienti promoter che, entusiasti del brand, lo promuovono ad amici e colleghi. Clienti che sono così felici che ritornano sempre, tanto che ben il 75% del business di Zappos dipende da clienti che ritornano.

Alla luce di ciò, non stupisce la ricerca di IQ che vi avevamo riportato qualche tempo fa (vedi qui), che illustrava come il servizio di assistenza al cliente influisca per addirittura il 45% del punteggio di Net Promoter Score di un’azienda.

Come avere il miglior customer service

In Zappos, in media, gli operatori rispondono a 5.000 chiamate al mese e a 1.200 email alla settimana (quando non è periodo di festività). Non hanno un copione da seguire e non c’è un limite al tempo della chiamata (la più lunga registrata è stata di 10 ore e 29 minuti).

Oltretutto, sono sempre incoraggiati ad andare oltre il tradizionale servizio di assistenza: ha fatto storia, in Zappos, l’episodio per cui una sera il CEO Tony Hsieh scommesse con un rappresentate di Sketchers, nota azienda di calzature americana, che se avesse chiamato la linea verde di Zappos, l’operatore sarebbe stato in grado di segnalargli la pizzeria più vicina con servizio a domicilio. Detto fatto: in due minuti l’addetto, anche se inizialmente confuso, fornì un elenco di ben 5 pizzerie in zona.

Oppure quella volta che una cliente chiese di restituire un paio di stivali acquistati dal marito morto poco dopo in un incidente stradale: non solo l’operazione di reso fu estremamente facile per la signora, ma l’operatrice, il giorno seguente, le fece recapitare un mazzo di fiori con le condoglianze dell’azienda. Procedura, questa, che non ha avuto bisogno dell’approvazione di un superiore dell’addetta.

Questo perché, non avendo copione da seguire, se non la regola di “andare oltre il tradizionale servizio di assistenza”, i membri dei team di assistenza hanno – nella maggior parte dei casi – la libertà di prendere in autonomia decisioni come quella di assegnare un coupon di sconto come scusa per un pacco inviato difettoso.

Insomma, un servizio così non può che innescare un passaparola molto positivo che, Zappos docet, è il migliore strumento di marketing. Oltretutto totalmente gratuito!

Un suggerimento per avere un customer service a prova di passaparola arriva dritto dritto da Jane Judd, già Senior Manager del Customer Loyalty Team di Zappos: “Prendetevi il tempo necessario per assumere il vostro personale. La cultura si trasmette dall’alto e poi sono le persone che portate in azienda che hanno il compito di mantenerla viva. Potete formare le persone a rispondere alle telefonate, ma non potete formare qualcuno a essere positivo e felice. Assumete le persone giuste e il resto verrà da sé. Delegate e date fiducia ai vostri dipendenti: quando avete cura di loro, loro poi saranno orgogliosi del loro lavoro. E questo aiuta molto a offrire un servizio eccellente”.

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