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ANSIA PER IL FUTURO? SÌ, GRAZIE!

In un’epoca in cui tutti rifuggiamo l’ansia, c’è chi vive un’ansia che genera un gran bene

[Ecco il seguito della prossima pubblicazione di Mario Sala per portare il mercato delle idee nelle nostre imprese (clicca qui)]

Jim Collins, autorevole studioso e ricercatore americano, nel suo best seller “From good to great”, riporta i risultati di una mastodontica indagine, durata cinque anni, volta alla ricerca dei motivi di successo di quelle aziende diventate grandi, da piccole che erano, facendo guadagnare ai propri soci e per un lungo arco di tempo (almeno 15 anni) più del triplo dei loro concorrenti.  Seguendo i manager di queste imprese così di successo, si accorse di alcune loro caratteristiche comuni, generalmente non rintracciabili in manager di altre aziende che non avevano ottenuto gli stessi risultati.

L’ossessione per il futuro

Si trattava di manager “ossessionati” dal futuro. Davanti a una soluzione da adottare, una decisione da prendere o una persona da assumere, la domanda (e quindi il criterio) era sempre quella: qual è il bene per il futuro dell’azienda?  Cosicché, in quelle imprese, l’aria che si respira è quella del futuro che chiede di entrare prepotentemente nelle decisioni e nelle scelte del presente. Paradossalmente, dato che queste imprese per lunghi anni hanno guadagnato il triplo delle altre, si può a ragione dire che pensare al futuro fa bene al presente. Come se, pensando tutto il giorno al futuro, alla sera si aprisse il cassetto e lo si trovasse… pieno di soldi!

Prima l’azienda poi io, ovvero prima “gli altri”  

Collins trovò, stupito, persone per le quali questo pensare al futuro, positivamente ossessionante, era la dimensione naturale del loro desiderio di costruire qualcosa di grande che…li superasse, che andasse oltre loro stessi. Il voler lasciare, dopo di loro, l’azienda migliore di come l’avevano trovata (o fondata), con gente più brava di loro a condurla. Ma come puoi lavorare con tutto te stesso per qualcosa che desideri abbia il meglio dopo di te e che, quindi, forse, non vedrai nemmeno? Sono cose che possiamo rintracciare nell’amore materno verso i figli: le madri, infatti, desiderano per i loro figli, specie quando piccoli, che il loro futuro possa essere sempre radioso e migliore del proprio! E ci pensano in continuazione! Ugualmente quei manager con le loro imprese. Alla faccia del “work-life balance”, certamente giusto, ma sicuramente non adatto per queste persone che pensano alle loro aziende (ovvero a persone, colleghi, collaboratori, fornitori, partner e clienti) come una madre o un padre pensa ai propri figli: a tempo pieno! E si può essere madri e padri anche da giovanissimi!

PENSARE AL FUTURO FA BENE AL PRESENTE

La nuova pubblicazione per portare il mercato delle idee nelle nostre imprese

È in arrivo la mia prossima pubblicazione. Un libro breve: so che “non avete tempo” e che vi piace da morire il notificarlo ai vostri interlocutori. Vi fa sentire vivi e sempre in battaglia, ovvero la cosa di cui vi lamentate e al contempo vi compiacete: sono anche io così e conosco bene l’adrenalina che sostiene questa splendida, lamentosa contraddizione. Splendida perché basta ascoltare la tristezza di chi non la ha più (può capitare per mille ragioni) per desiderarla e amarla. Lamentosa perché, chi vive così, sente che non è mai a posto quasi niente e, come diceva sempre Gino Bartali, “gli è tutto sbagliato… l’è tutto da rifare!”.

Ho quindi optato per un libretto di battaglia, scritto a flash, come fra gente che, conoscendosi da tempo, non ha bisogno di ripercorrere antefatti e dire tutto, ma, appunto, gli basta un flash: il lettore conosce molto bene il mondo che sta dietro a ciascuno di essi, spesso complicato e pieno di sfumature, per cui non c’è bisogno di attardarsi (anche io – ve lo volevo proprio notificare – non ho molto tempo…). 

Per gli imprenditori e per chiunque abbia una concezione intraprendente del proprio lavoro

Dedico quindi questi flash agli imprenditori: li amo!  

Sono sempre rimasto affascinato dagli imprenditori, da quelli conosciuti in tutto il pianeta, fino al fruttivendolo sotto casa.  

L’ “imprenditore” è un po’ controcorrente rispetto all’aria che tira oggi nella nostra società: non può cedere al risentimento, non può attardarsi in analisi infinite su di chi sia la colpa delle cose che non vanno perché, se intanto non le mette a posto, fallisce. Nei “casini” deve trovare sempre il lato costruibile sul quale ricominciare, sotto sotto (anche se non lo vuol dare a vedere e si lamenta anche lui) pensa sempre che ce la farà, nonostante veda il numero grande di errori che compie, anche gravi. Ha spesso un indomabile spirito costruttivo e, appena raggiunge un risultato, guarda ancora più in là e, davanti a fallimenti formidabili, è più forte di lui: ci riprova, magari da qualche altra parte!

Sono stati scritti fiumi di inchiostro su “chi glielo faccia fare”…

Secondo me, l’imprenditore vuole un po’ imitare Dio, facendosi come Lui creatore. E credo che Dio lo guardi come un padre guarda un bambino di un anno e mezzo che, imparato a mala pena a camminare, già tenta di tirar su la gambetta per salire sul divano più alto di lui! Il padre lo guarda e sorride pieno d’orgoglio nonostante l’evidente inadeguatezza rispetto all’impresa da compiere. Anzi è proprio quella sproporzione e inadeguatezza che lo commuove.  

Ma il traguardo è troppo attraente e fa scordare al bambino i propri limiti. Così non si resiste alla tentazione di mettere la mano sotto il piedino del piccolo per dargli un punto di appoggio e fargli credere così che da solo ha compiuto l’impresa!

Così, anche Dio, secondo me, “crolla” di commozione quando vede i nostri tentativi di imitarlo e, forse, sorride anche quando ci vede impettiti, raggiunto un risultato, a pensare di avercela fatta da soli e senza appoggio.  

Oggi gli imprenditori sono chiamati a salire su un divano molto ma molto più alto di loro: devono, in questa epoca così difficile, destare entusiasmo (e non semplice “soddisfazione”) nei propri clienti. È la cosa più difficile e indispensabile che ci sia perché le imprese crescono oggi SOLO per l’entusiasmo dei loro clienti, se no… (metteteci voi il flash che avete in testa ora).

Da dove partire, quindi? Da questo libretto a flash, prossimo a essere pubblicato su questo canale.

SCHULTZ AI DIPENDENTI: “DOBBIAMO REINVENTARE STARBUCKS”

STARBUCKS: HOWARD SCHULTZ DI NUOVO IN CAMPO

Da anni seguo con vivo interesse le vicende di Starbucks, vero paragone e confronto per chiunque si occupi di Customer Experience nei business consumer proposti da catene. È l’attenzione che giustamente si deve dare a chi è stato antesignano e apripista per centinaia di catene che, sulla scia delle intuizioni di Howard Schultz, hanno trasformato il concetto stesso di breakfast, lunch e dinner in molte parti del pianeta. Proprio il paragone, l’emulazione e la competizione con Starbucks hanno dato l’ispirazione per il mio esordio come consulente – qualche anno fa –  di alcune catene di food grazie alla fortunata pubblicazione di “Aspettando Starbucks” (clicca qui) che ho scritto insieme a Gabriele Mancosu a cui ha fatto seguito “La Trimestrale del cliente” (clicca qui) redatta insieme a Valentina Romagnoni.

Per non parlare degli anni in cui Starbucks è stato costantemente primo in classifica nella misurazione del Net Promoter Score, rilevato in decine di migliaia di store annualmente e ormai diventato non solo l’indice che misura il passaparola entusiasta che i clienti sono disponibili a fare per un’insegna, ma un indicatore che misura lo stato di salute generale che i clienti attribuiscono a un brand.

Sono poi venuti, anche prima della pandemia, tempi difficili, o per lo meno più difficili, anche per Starbucks: si sono diradati perfino gli idilliaci racconti che dicevano di un Howard Schultz che – ritiratosi da ogni incarico operativo – si era ritagliato il ruolo di saggio tutor della sua creatura, intento soprattutto a incoraggiare e consigliare quasi “dall’esterno”. Non c’è gioia più grande, per un autentico fondatore come Schultz, di vedere la propria creatura andare avanti senza di lui e… meglio di quando c’era lui. Gioia assaporata per pochi anni, visto che Howard si è visto costretto a scendere di nuovo in campo.

4 principi per guidare la reinvenzione

Ad aprile di quest’anno, infatti, con una lettera ai dipendenti, Schultz ha annunciato di aver preso nuovamente in mano le redini dell’azienda perché le cose cosi… non andavano più bene: “Oggi ci troviamo in una posizione in cui dobbiamo modernizzare e trasformare l’esperienza Starbucks nei nostri negozi e ricreare un ambiente che sia rilevante, accogliente e sicuro, e in cui ci eleviamo gli uni gli altri con dignità, rispetto e gentilezza”. La lettera si chiude a chiare lettere: “Dobbiamo reinventare Starbucks per il futuro“.

Invece che gestire la situazione, intervenire sull’ottimizzazione dei costi e ridefinire il proprio perimetro, il fondatore parla con coraggio di “reinventare Starbuks”. Come? Schulz anche in questo caso è molto chiaro e indica la via ai dipendenti, prima che ad altri.

Continua infatti nella lettera “a tutti” indicando i 4 principi che dovranno guidare la “reinvenzione”:

  • Sicurezza, accoglienza e gentilezza per gli store
  • Avanzamento e opportunità per i dipendenti
  • Benessere della comunità aziendale
  • Potere condiviso, responsabilità condivisa, successo condiviso.

Abbiamo costruito questa azienda sul potere delle idee e della voce dei partner“, ha scritto ancora Schultz. “La reinvenzione deve liberare ancora più profondamente il potere dentro ognuno di noi, condividere più autenticamente la responsabilità nella costruzione di un futuro condiviso e dare dei vantaggi a tutti noi quando l’azienda avrà successo. Miriamo ad essere un tipo di azienda completamente nuovo nel nostro settore, stabilendo un nuovo standard“.

In una comunicazione a parte, ma che segue di poco questa comunicazione, Starbucks informa anche che investe 1 miliardo di dollari in nuovi aumenti salariali, formazione dei dipendenti e innovazione degli store.

What’s Next…

Nel frattempo, la scorsa settimana, Schultz ha annunciato che dal 1 aprile 2023 ci sarà un nuovo CEO: Laxman Narasimhan. Entrerà in azienda l’1 ottobre e, fino alla sua nomina, vivrà con Schultz che si occuperà direttamente e personalmente di introdurlo ai team di gestione, ai dipendenti e ai clienti: vivrà una full immersion nel brand e nella cultura aziendale oltre che, naturalmente, implementerà il piano di “reinvenzione”.

In precedenza, Narasimhan ha ricoperto vari ruoli di leadership in PepsiCo, tra cui quello di Global Chief Commercial Officer, dove era responsabile della strategia a lungo termine e delle capacità digitali dell’azienda. In precedenza, è stato senior partner di McKinsey.

Schultz ha continuato: “Poiché ho avuto l’opportunità di conoscerlo, è diventato chiaro che condivide la nostra passione di investire nell’umanità e nel nostro impegno nei confronti dei nostri partner, dei nostri clienti e della comunità. Le prospettive che porterà saranno una risorsa forte per questa nuova era di maggiore benessere che vogliamo costruire“.

In fondo è un incoraggiamento per tutti i player: Starbucks non lascia…raddoppia!

IL PRIMO FOLLOWER

È il primo, autentico ed entusiasta follower che fa diventare leader… il leader!

Qualsiasi “teoria” o modello di leadership proposto a gruppi aziendali, sportivi o sociali che siano, risentono – ovviamente – dell’aria che tira nella società, della cultura e dei miti che in un dato momento storico vanno per la maggiore.

Oggigiorno, per esempio, “vanno di moda” (ed io ne sono un grande estimatore) modelli di leadership valorizzativa, cioè quelli capaci davvero di valorizzare risorse tangibili e intangibili di singoli e gruppi di lavoro, piuttosto che di progetto o di team, tirando fuori il meglio dalle persone.

Forse lo studio più imponente e autorevole, in questi ultimissimi anni, è quello proposto da Linda Hill e che è documentato nel suo best seller “il Genio Collettivo” (clicca qui).

Linda e la sua equipe di Harvard hanno dimostrato come imprese di diversa dimensione, cultura, attività e dislocazione nel pianeta seguissero uno stile di leadership che si basa su milestone e mindset simili quando si tratta – proprio come oggi è necessario – di innovare in continuazione e in particolare di innovare la propria offerta ai clienti, che oramai si attaccano alle nostre imprese sempre più difficilmente e solo se entusiasti (soddisfatti non basta più).

Se è necessario innovare in continuazione, e non sporadicamente con colpi di genio di qualche persona particolarmente illuminata, occorre valorizzare la frazione di genio di cui ciascuno – più o meno consapevolmente – è portatore e creare l’ambiente e i format di partecipazione e di ingaggio adatti.

Ho però notato, anche attraversando e studiando modelli di leadership diversi e più rispondenti a epoche del passato recente e meno recente, che vive sempre una costante. La fortuna dei leader e/o dei loro modelli di leadership sta nei loro follower, in particolare del loro primo follower!

È il primo follower (parlo del primo follower autentico, quello “volontario”, non quello che lo è per contratto) infatti che riconosce il leader come tale e che conquista e fa scendere in campo tutti gli altri follower. È il primo follower che fa diventare leader…il leader : si potrebbe proprio dire che – quasi – è lui che lo crea!

“Vuoi diventare leader per davvero?”. Se sì, cercati il primo autentico follower, il follower volontario ed entusiasta “gratis”: penserà lui a molto del resto…

Se vorrai vedere il filmato qui sotto, tratto da un felice TED di Derek Sivers, vedrai proprio come, anche nella dinamica naturale dei gruppi , è il primo follower che conquista tutti.

In altre parole il primo follower è un leader, non a caso i leader che sanno creare entusiasmo e innovazione sono quelli che sanno creare altri leader (clicca qui percorso leader che creano leader).

Accenneremo anche a questo aspetto nella presentazione del percorso “Leader che creano Leader – si cresce (solo) per entusiasmo” a Savona il prossimo 30 marzo nella sede dell’Unione Industriali.

Una maldestra connotazione negativa e sminuente è spesso attribuita alla parola follower quando invece è chiaro che essi sono i veri makers indispensabili a qualsiasi progetto e la qualità di essi ne determina il successo o la sconfitta.

Secondo Kelley, il leader incide solo per il 15 % sui risultati, mentre il 75% dipende dai follower. Quindi, più che uno che segue, il follower è uno che “dà seguito”!

LE 3 COSE CHE HO IMPARATO QUEST’ANNO

1) SEI UN DEMOLITORE ACCIDENTALE?

Si cresce solo per l’entusiasmo dei nostri clienti verso la nostra impresa: non ci sono alternative a questa evidenza, per quanto sia difficile accettarla. L’ entusiasmo dei nostri clienti ha molto a che fare con l’entusiasmo delle persone che lavorano con noi, che li raggiunge – come un’onda arriva sulla spiaggia – nella forma di prodotti, servizi, idee, qualità delle relazioni, atmosfere e novità che lasciano a bocca aperta. Ma questo… lo sapevo già! Quello che ho imparato quest’anno è che, se vai a intervistare tutti questi “entusiasti”, scopri che sono diventati leader grazie ad altri leader! Se vuoi entusiasmare i tuoi clienti, quindi, fai in modo che i leader della tua azienda creino altri leader (e metti premi per questo!): persone che sanno allestire il palco per lanciare altri, invece che esibircisi sopra sempre e solo loro.

Ho visto imprenditori e manager cambiare stile di leadership in questa direzione suscitando entusiasmo fra le proprie persone… fino al cliente: grandissimi! (Leggi qui: “Leader che creano leader”).

Ma ho anche visto i demolitori accidentali: super leader preparatissimi e che davvero “sanno tutto” che, mentre si impegnano con intensità commovente a “salvare l’azienda” (per loro ogni fatto è gravissimo) e ad aver ragione ad ogni costo, fanno macerie dappertutto intorno a loro.


2) PER CREARE RICCHEZZA, SII GRATUITO

Encarta voleva fare l’enciclopedia più consultata al mondo e per questo ha investito somme da capogiro e coinvolto manager di primissimo ordine. È stata clamorosamente battuta da Wikipedia, ovvero da volontari. Contro i volontari, quelli che stanno su di notte per coltivare la loro passione, non c’è niente da fare: si perde sempre.

Non sto parlando di dilettanti, ma di volontari, che sono ben altra cosa. Coi volontari si vince sempre! Il volontario, nel seguire la sua passione, spesso diventa imprenditore carico di iniziativa, forza, genialità, efficienza e resistenza. Quando parti da ciò che alle tue persone piace fare e riesci a collegare questo a progetti e obiettivi (ovviamente non sempre ci si riesce ma… hai mai provato?), prendi un’altra velocità e un’altra forza. Il lavoro “gratis” vince sempre. Per esempio, penso a quanto e immenso lavoro gratis fanno certe persone per creare, nei loro gruppi, un’aria che si respira positiva, stimolante e divertente: quante attenzioni, quante iniziative nascoste e viste da nessuno, quanta intelligenza, quanto realismo, quanta conoscenza! Nessuno è pagato per il lavoro di tenere buona l’aria che si respira in azienda, ma senza questa aria non si raggiunge nessun obiettivo significativo. È un lavoro nel lavoro, è un’impresa nell’impresa. Cioè: senza questo lavoro gratis non esisterebbe nemmeno il lavoro pagato, perché il primo sostiene in tutto il secondo.

Se andiamo all’istante iniziale in cui l’imprenditore immagina la sua impresa non troveremo mai (ne ho intervistati a centinaia) un calcolo (questo viene dopo), ma sempre un istante “gratis” fatto di stupore, bellezza, meraviglia e prospettiva. È questo che mobilita tutto il resto. Questo vale per i Del Vecchio, gli Armani e i Ferrero così come per il fruttivendolo sotto casa, noi compresi. Molti imprenditori di successo si prodigano nel sostenere opere di carità: è il riconoscimento che essi fanno a quell’istante di gratuità che per tutti loro c’è stato all’inizio della loro impresa. E, affinché la loro impresa vada avanti, c’è bisogno come il pane anche nel presente di… volontari! Il volontario, nei confronti della sua passione, è un amante esagerato perché, come fa ben capire niente di meno che sant’Agostino, chi ama esagera.


3) COME I SALMONI, NUOTA CONTROCORRENTE

Occorre fare come i salmoni e risalire la corrente. Perché la corrente che scorre tutti i giorni fuori dalla nostra impresa, e che tanto la influenza, va in senso assai sfavorevole. Si respira – anche nelle nostre imprese – aria di disimpegno, di paura e di rifiuto a rischiare ad alzare la mano e dire “lo faccio io!” con entusiasmo.

È una corrente che parte da lontano e da ben prima della pandemia, ma che ci sta portando il fenomeno delle Grandi Dimissioni (fenomeno esploso negli Stati Uniti, e in vertiginosa crescita anche da noi, chiamato Great Resignation o Big Quit e che porta a un numero crescente di dimissioni senza avere in tasca alternative). Le Grandi Dimissioni sono il fenomeno – cito testualmente – “contro la cultura tossica del lavoro che lacera l’esistenza e deteriora la salute di milioni di persone”. Altri parlano di “mutate priorità personali”. Imprenditori e manager ovviamente non possono indugiare in critiche e in indignazioni (spesso perché proprio non possono permetterselo) ma occorre tagliar corto e saper suscitare entusiasmo fra i propri collaboratori, spesso attraverso una nuova proposta di lavoro, nuovi obiettivi, nuovi progetti, nuove carriere e nuove forme di coinvolgimento e di leadership. E naturalmente combattendo con intelligenza, e, perché no, a volte anche con ironia, la frase killer del momento: “Chi me lo fa fare?”.

Ma, naturalmente, a nulla valgono le rispostacce, occorre essere davvero bravi e non perdere la calma quando questa corrente negativa si fa scudo di parole belle e importanti – strumentalizzandole – come Sostenibilità, Work-life balance, Smart Working…

LEADER CHE CREANO LEADER

Introduzione al percorso 2022

Alla fine di ogni anno mi piace fare un resoconto di quanto ho imparato nel corso dei mesi appena passati (leggi qui Le 3 cose che ho imparato quest’anno). Per fare questo, mi aiuta molto tornare su scambi e confronti avuti con dirigenti e professionals su quale sia stato l’episodio lavorativo più entusiasmante da loro vissuto.

Fa riflettere il fatto che molto spesso ricevo risposte assai datate: occorre andare indietro di un buon numero di anni per trovare l’esperienza da incorniciare come “epica” o “memorabile”.

In certe realtà, invece, alla stessa domanda noto l’imbarazzo della scelta nella risposta, tante sono le esperienze entusiasmanti che si stanno vivendo “qui ed ora”.

Se si approfondiscono le differenze fra le prime realtà d’impresa e le seconde, si nota facilmente che nelle seconde sono presenti leader capaci di creare altri leader!

Persone che hanno il potere, più ancora che quello di farsi ammirare per la loro bravura, di far sentire importanti quelli che lavorano con loro.

“Quando incontro un bravo manager” – mi ha detto una giovanissima piena di talento – “penso quanto sia importante lui per l’azienda, quando incontro un leader esco dal meeting pensando quanto sono importante io!”

Ciascuno di noi è invitato a farsi la domanda, che implicitamente ci rivolge questa ragazza, su quale tipo di persona desideriamo essere per coloro che lavorano con noi.

Questi leader che creano leader desiderano davvero “lanciare” le persone che lavorano con loro, sembrano conoscere la chiave – sempre diversa – per tirare fuori il meglio dalla gente. Essi partono da una pre-stima per la quale credono che ogni persona abbia un suo carisma particolare, una caratteristica peculiare, un “pallino” esagerato che può essere valorizzato per un bene comune.

La cosa interessante è che sembrano fare così per… sopravvivenza prima ancora che per nobiltà d’animo: sanno che se non mobilitano genio collettivo, ben difficilmente riusciranno a entusiasmare i loro clienti e a innovare in questo (quasi) post finimondo.

Lavorare con questi leader, creatori di altri leader, è entusiasmante “durante” il lavoro e non solo alla fine, al raggiungimento dell’obiettivo del progetto con il quale si è impegnati.

Se è vero che – in fondo – si cresce solo per entusiasmo dei propri clienti è altrettanto vero che esso parte dalle persone che lavorano nelle nostre imprese e che, proprio come un’onda raggiunge la spiaggia, arriva ai clienti attraverso nuovi prodotti, servizi, idee, concept e “atmosfere” di relazione “impareggiabili”.

Il leader che sa creare altri leader studia e conosce davvero bene il fenomeno dell’entusiasmo e sa come suscitarlo.

Ma come fa concretamente il leader creatore di leader?

Abbiamo studiato da vicino diverse realtà, intervistato centinaia e centinaia di imprenditori e manager e siamo giunti finalmente a “formalizzare” (e quindi siamo in grado di raccontare) le dimensioni del leader capace di creare altri leader: spesso si tratta di persone non certo “nate” così, ma che hanno dovuto profondamente rivedere il loro stile di conduzione.

Abbiamo imparato a conoscere i disastri dei “demolitori accidentali” (la definizione è di Alessio Fattorini), ovvero manager preparatissimi e spesso carismatici che mentre “hanno ragione” fanno macerie (ovviamente non volute) intorno a loro…

Abbiamo anche notato come questi leader, creatori di altri leader, hanno (positive) “ossessioni” che – passate di meeting in meeting e di progetto in progetto – diventano un metodo di lavoro: abbiamo preso nota di tutte!

Una cosa che accomuna i leader creatori di leader, ha osservato il geniale prof. Peter Schulz dell´Università di Lugano, è che – spesso in modo vivace per non dire incalzante – fanno uscire dalla bolla in cui si trovano i propri team: occorre infatti ammettere che, negli anni, insieme a certezze e convinzioni assolutamente vere e importanti del nostro lavoro e dei nostri clienti, si sono radicate dentro di noi credenze e paradigmi falsi o non più veri che – se non siamo in grado di uscire dalla bubble mentality – continuano a influenzare malamente decisioni, definizioni di problemi, idee che poi trovano implacabili bocciature da parte dei clienti.

Una serie di autorevoli studi mostra chiaramente quali sono le trappole – e i conseguenti macroscopici errori – della bubble mentality, ma anche come fare a uscirne in “mosse” semplici e geniali che diventano veri e propri tool professionali.

A PARTIRE DA QUESTE OSSERVAZIONI, DOPO QUASI DUE ANNI DI STUDIO E DI PROGETTAZIONE ABBIAMO SVILUPPATO IL PERCORSO 2022 CHE CONTINUA LA SERIE “SI CRESCE SOLO PER ENTUSIASMO”

Leader creatori di leader è anche la soluzione per la successione d’impresa che, dopo un imprenditore fondatore e spesso carismatico, può sfidare il tempo e i colossi pronti a comprare rifondandosi su un altro tipo di leadership di metodo ed ugualmente entusiasmante.

Il percorso 2022 sarà proposto secondo vari format, che si prestano a personalizzazioni particolarmente efficaci.

Per informazioni info@praxismanagement.it

 

LA LEADERSHIP VALORIZZATIVA DI GOLOSARIA

Si è conclusa la prima edizione di Golosaria a Padova, esperimento di esportazione del format consolidato che si “esibisce” ogni anno con successo crescente a Milano.

I produttori di eccellenza che aderiscono alla manifestazione trovano un’opportunità rara e molto promettente per il moderno consumatore metropolitano, sempre alla spasmodica ricerca simultanea di velocità e qualità, come mostra autorevolmente un recente rapporto McKinsey (leggi qui).

La novità che portano Paolo Massobrio, ideatore della kermesse, e i suoi è presto detta, disarmante, semplice e clamorosamente in linea con la nuova Era del Cliente nella quale produttori di eccellenza e di piccole dimensioni possono sperare di diventare davvero brand internazionali:

MASSOBRIO NON “ASSORBE”, VALORIZZA!

Tutte le altre fiere e manifestazioni del Food Made in Italy tentano di “assorbire” le produzioni di eccellenza, costruire brand di “fiere” o di ristorazione, naturalmente con la scusa di… “fare sistema”, “tenendosi” così per sé il rapporto con il pubblico o con il cliente finale. Si sa, infatti, che nella filiera agroalimentare, come in tutte le filiere pregiate del Made in Italy, chi è più vicino al cliente è quello cui tocca il “margine” maggiore.

Non a caso le proposte per i produttori locali di eccellenze sono sempre e tristemente tre:

  • “Vieni alla nostra fiera per farti conoscere: siamo noi che portiamo i clienti!”;
  • Facciamo un consorzio di vendita (che si terrà il rapporto con il cliente finale generalmente gestito da qualche società di consulenza);
  • Aderisci a una rete di impresa (per ottimizzare acquisti e/o per vendere) che ugualmente si terrà il rapporto con il cliente finale.

IL RAPPORTO CON IL CLIENTE E LA LEADERSHIP VALORIZZATIVA

La novità è che, nell’Era del Cliente, “di chi è il cliente” (clicca qui) non lo decide chi distribuisce o chi vende: è il cliente stesso che decide di chi vuole essere. Inutile dire che il cliente – ovviamente – vuole “essere del brand”! (Non di chi lo distribuisce o lo vende). Il cliente vuole avere un rapporto diretto con il brand e vuole dialogare con i suoi massimi rappresentanti in persona.

L’enorme possibilità che si apre per i produttori – anche per i più piccoli – delle nostre eccellenze è quella di diventare davvero brand e coltivare direttamente il rapporto con il singolo cliente (cosa che, oggi, ha costi assai ridotti, a differenza di un tempo).

La cosa incredibile di Massobrio, della sua guida ilGolosario e della sua Golosaria, è che desidera davvero non assorbire a sé i produttori, ma desidera valorizzarli, perché possano crescere da soli. Insomma, li stima davvero e vuole che loro (e non lui!) crescano nel mondo. Impossibile non “attaccarsi” a persone così! Ed ecco spiegato il suo crescente successo.

Massobrio è, dunque, uno dei rappresentanti e fautori della cosiddetta “leadership valorizzativa” (clicca qui), così studiata negli ecosistemi aziendali Customer Experience-oriented.

Ma come fanno, davvero, Massobrio e i suoi, a essere “così”? Perché questa scelta? Che ruolo avrà Golosaria nell’Era del Cliente che ha seppellito quella del Marketing?

Continua…

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